il popolo degli uomini in ciabatte e il popolo degli uomini in infradito non si erano mai potuti sopportare più di tanto. l’odio alimentava storielle grottesche che gli uni diffondevano sugli altri, e se in paese accadeva qualcosa di sinistro per gli uomini in infradito era sicuramente colpa di quei presuntuosi in ciabatte, e per gli uomini in ciabatte erano stati sicuramente quei cafoni in infradito. più di una rissa era stata registrata di fronte ai pub, quando, entrambe brille, le due fazioni erano venute alle mani per un commento buttato lì anche senza farci troppo caso.
il problema era che sia gli uomini in ciabatte sia gli uomini in infradito vedevano quello che gli faceva comodo vedere. un uomo in ciabatte sorpreso da altri uomini in ciabatte a rubare qualche soldo doveva scontare un anno di prigione, un uomo in ciabatte sorpreso da un uomo in infradito veniva esposto alla derisione pubblica, quasi messo alla gogna, condannato a due anni di prigione e in più ogni volta era un pretesto per suggerire di cacciare tutti gli uomini in ciabatte dal paese. e, naturalmente, viceversa.
gli uomini in ciabatte erano suscettibili, rissosi, alteri. gli uomini in infradito erano volgari, prepotenti, violenti.
eppure calpestavano lo stesso suolo senza i tacchi, e impolverandosi della stessa polvere avevano la pelle dello stesso colore. l’unica differenza era quel laccetto tra l’alluce e il melluce, intorno a cui venivano costruite leggende spiegate come sintomo tanto di superiorità morale (secondo gli uomini in infradito) quanto di depravazione (secondo gli uomini in ciabatte).
neanche quel giorno in cui un uomo in ciabatte uccise un uomo in infradito per una prugna, (pare che le ultime parole pronunciate dall’uomo in infradito siano state: “dovrai passare sul mio cadavere”) capirono che tra loro non c’era alcuna differenza.
ancora oggi calpestano lo stesso suolo, arrogandosi il diritto esclusivo di abitarlo, senza perdere occasione per spintonarsi e puntarsi il dito contro.
è più facile disgregare un atomo che un pregiudizio (albert einstein)