ho digerito il tuo libro nella luce appassita del vagone intercity notte con cui ieri sono tornata da milano. ero in silenzio con te ad ascoltarti raccontare i tuoi ricordi in flash back che solo tu comprendevi, perché è vero che scrivi di te, non scrivi per me.
ascolta, le parole sono fuochi fatui, cimiteri d’inchiostro,
sono foglie secche, rose già appassite
è faticoso entrare nei meandri di te, all’inizio. i tuoi racconti mi hanno richiamato alla mente james joyce, solo che the dubliners non mi è mai piaciuto. non mi aspetto che un libro mi restituisca la vita reale, anzi ho bisogno che me la metta in ordine. non mi piace essere lasciata in balia di racconti che non solo non finiscono, ma persino non raccontano nulla. sono come frasi principali senza verbi.
non voglio il bianco o il nero, ma una via di mezzo. pulire i miei bisogni, scansare le tentazioni
a volte mi sento dire: sono tornato a mangiare in quel ristorante perché la prima volta non mi era piaciuto, e volevo capire.
perciò ti ho continuata a leggere.
perché orfeo si volta? perché, giunto a pochi metri dalla luce,
dalla salvezza, dalla felicità… egli si volta e la perde per sempre?
la domanda giusta è: perché mai non avrebbe dovuto farlo?
voltarsi per conoscere, riconoscere, il suo amore.
non si ama mai, senza conoscere
ti ho trovata ostica, rude, parziale, autoreferenziale. che questo libro è un viaggio è scritto sin dalla prefazione, è vero, ma non c’è scritto che questo è un viaggio che tu compi da sola.
vi ho detto di avere freddo, ma è una menzogna…
io non sento niente
adesso però, annachiara, parla anche un po’ con me, avrei voluto dirti.
non so prendermi cura di me, è il motivo per cui l’ho lasciata
poi è successo che ad un certo punto ti ho capita, e qualcosa è cambiato. accettata la tua chiave di lettura, ho trovato la mia chiave di volta: la chiave della tua cantina.
mi sono arresa alle tue parole e ti ho ascoltata.
era quello che tu volevi.
possono fare l’amore le mani?
“cellar door” non è la chiave che hai cercato per quella che secondo le simbologie più rinomate rappresenta l’inconscio e il remoto. “cellar door” è la chiave del tuo cimitero, che tu vuoi consegnare a chi, superata la fatica iniziale, ti voglia conoscere. così è strutturato anche il nome della rosa, il libro di eco che forse non a caso hai scelto come ispirazione al titolo di un racconto: le prime cento pagine di fatica, in cambio di una trama entusiasmante.
con quale presunzione mi scrivi che quando ho rinunciato a te l’ho fatto per sempre? ancora credi ai sempre e ai mai?
vuoi consegnare la chiave perché il tuo cimitero è pieno di aborti. di passioni lasciate a metà, di amori rimasti in sospeso a mezz’aria sempre per ragioni di testa o di pancia, mai per ragioni di cuore. aborti ingombranti come silenzi pieni di rancore.
mi hai portata troppo vicino al tuo cuore, ipocrita,
dicevi che non m’avresti amata
aborto è una delle parole che usi più spesso. è una parola dal suono forte, che arrotandosi su se stessa prende le sembianze del feto che cerca di proteggersi da quello che altri hanno deciso per lui.
ho il cuore pigro e l’anima sciatta
consegnando la chiave del tuo cimitero, tu implori di essere scoperta, come qualcuno dice nel film match point. tu lo vuoi dimenticare, vuoi che qualcun altro faccia pulizie per te, perché tu sei esausta e chiedi di cambiare aria.
una voce nella mia testa insiste che devo farlo, che devo spogliarmi,
liberarmi, restituire la chiave delle mie prigioni. solo così sarò libera
usi spesso anche il termine menzogna. mi sono chiesta perché menzogna e non bugia. non sono in fondo la stessa cosa? in fondo, bugia ha anche un suono più elegante, quasi più innocuo: e per te ogni parola ha un esatto peso specifico, non sarebbe da te ignorarne la piana armonia.
amore è una trazione respingente
la risposta è arrivata subito: non è eleganza, quello di cui necessiti. tu vuoi corpo, sangue, inferno, spirito, lacrime anche dalle cose, e perciò dalle parole. così la parola menzogna diventa un dito puntato da una matrona sicula, vestita di nero e con il fazzoletto in testa, mentre cerchi conforto tra liocorni e sbuffi di nuvole, l’altra metà del cielo.
quand’è soltanto un rovescio del cielo, il mare
e così ti ho conosciuta nel momento in cui ho cominciato ad ascoltarti, come tu volevi, e da lì ho cominciato il mio, di viaggio.
Nei cimiteri ci sono i morti. La morte è soprattutto oblio. E i morti non vogliono essere dimenticati. Ma “il nostro posto è tra i vivi”. Lo dice il tizio che non ti piace, quello che spezza vite come stuzzicadenti. Da me avrai sempre e solo vita reale, non sono Baricco, per fortuna, non ho la presunzione di mettere ordine nelle vite altrui. Al massimo le faccio scoppiare, le alleno all’imprevedibilità, alla possibilità che le cose finiscano bruscamente. “Siamo un passaggio di allodole, con un colpo andiamo giù, mentre aspettiamo di scegliere se volare a nord o a sud…”. Bisogna essere come acqua, diceva qualcuno, che arriva, si adatta alle cose, ma poi prende e scivola via. Autoreferenziale, purtroppo sì, ma è stato un difetto di gioventù. Sono passati due anni dalla sua pubblicazione, ma dieci da quando comincia ad annotare certe sensazioni che poi sarebbero divenuti corti, mai riletti. E ho giurato per questo di non scrivere mai un altro libro come Cellar Door. Scrivere è Riscrivere. Bisogna affilare lo stile, dimezzare gli aggettivi, togliere tutti gli avverbi, scremare, pulire, tornare alla sostanza in utero delle cose. Dura, lo sono stata, affinché tu come il soldato che aspetta cento giorni alla porta della principessa, mi dimostrassi che volevi almeno provare a provare ad entrare. La solitudine, all’epoca, era il contraltare della mia libertà: non volevo parlare con nessuno che non fossi io, perché mi dovevo trovare, prima di scoprire l’altro, e cominciare una ricerca insieme di qualunque cosa ci aspetti là fuori, aldilà del muro che ci separa da tutto il resto. E poi dopo SCIOGLIERSI NEL MONDO. C’è chi lo fa rumorosamente, tutta vita!, io ci sto riuscendo adesso, piano, ma è come gridare Ti Amo in un campo di neve, in cui il suono si curvi per essere assorbito dal morbido. Menzogna è solo più lungo di bugia, le menzogne s’archittettano con cura, devi essere machiavellico nella menzogna, infantile per la bugia. Ecco spiegato l’uso di una parola anziché l’altra, senza liocorni e sbuffi di nuvole… quelli lasciamoli alla Santacroce, e io ci metto il carico – come a briscola – di un bello scoiattolo che vale 10 punti. E’ sera. Chiudiamo il cancello del cimitero. Qualche volta i morti camminano, ma a noi, a me, serve una pausa. Se vuoi ancora viaggiare con me, farlo dalla prima pagina di un altro viaggio, io sono pronta, andiamo. Ma non ti posso promettere paradisi, soli, o acque piatte. Col mare calmo ogni stronzo è marinaio. Noi dobbiamo andare dove ti fa più paura, in quel mare, femmina, che per sempre si prenderà la gente per portarla via da te.