in una stanza segreta aspetto il suono noto dei tuoi passi. resto seduta al buio con la schiena e le orecchie dritte, le mani sulle ginocchia, chiedendomi se è il vento che bussa alla porta o sei tu, rimasto senza fiato. stanchi di rincorrerci per le scale ci siamo fermati da un pezzo, ansimanti, e sempre ansimando abbiamo compiuto gli ultimi, piccoli passi. gattonando ci siamo sibilati gli ultimi perchè, infliggendoci eterni voti proibiti.
ma i perchè si dimenticano.
l’odore del buio ha la stessa pastosa vacuità di una missed call. le pupille brancolano nel mare di fango che è la mia anima, cercando di quale colpa depurarsi prima. bere il sangue di un unicorno è un reato gravissimo, che si sconta vivendo a metà.
non bastano le nuvole in testa a ricordarmi che da qualche parte la luce dei miei occhi c’è.
conto il tempo che passa tra il prima e il dopo, centellinandolo come si fa con le malattie terminali.