ho telefonato a mia nonna e l’ho trovata afflitta. la neve le impedisce di scendere a dare da mangiare alle galline e lei è triste. in più questo tempo le ricorda quando “anche l’altra volta ha nevicato così tanto” e suo figlio, ossia mio padre, che aveva cinque anni, stava non ho capito da quale parente, e la secondogenita non aveva nemmeno due anni, e soprattutto sua madre era a roma perchè suo padre si era ammalato da poco e stavano sostenendo le prime cure. sarebbe morto di lì ad un anno.
mentre la ascolto annaspare tra ricordi e ricostruzioni cronostoriche, mi accorgo che sono dieci giorni che si parla della famosa nevicata del ’56 ma si parla di meno dei ricordi individuali che porta con sè: delle silhouette stampate sui tetti innevati con gli occhi in bianco e nero di chi questa nevicata l’ha già patita.
mia nonna questa neve la riconosce e non si stupisce. non vede la stessa neve che vediamo noi: le guarda attraverso.
mia nonna imprime sui cumuli di neve un tempo in cui i suoi genitori erano ancora vivi, ogni sera si coricava con suo marito, due bambini riempivano di grida la piccola casa, la ripresa dopo la guerra era incominciata e tutti erano ottimisti e pieni di fiducia.
nella mia famosa nevicata del ’12 ho fatto provviste a sufficienza, perchè le previsioni del tempo ci hanno annunciato l’arrivo di the day after tomorrow una settimana prima.
una prima volta mi sono lasciata condizionare e per paura di trovare l’aeroporto chiuso al ritorno non sono partita per identità golose nella prima edizione in cui hanno proclamato cuoco dell’anno un abruzzese. una seconda volta mi sono lasciata educare e ho cucinato tanto da averne abbastanza per giorni e giorni e giorni. nella mia nevicata del ’12 sono stata in casa per una settimana di seguito e sono uscita solo per andare al pranzo domenicale dai suoceri e al supermercato, e qui ho avuto un lieve capogiro per via di tutto il tempo che ho trascorso tra le quattro mura di casa.
nella mia nevicata del ’12 sono scesa in strada insieme a mio marito e ho ripercorso i percorsi soliti, temporaneamente vestiti di un aspetto nuovo, colori non richiesti, avventure a zig-zag cercando di non scivolare. nella mia nevicata del ’12 non faccio fatica perchè stringo nelle mani tutto quello di cui ho bisogno, e perchè covo un sogno anzi forse due oppure tre o quattro, quest’anno si vedrà, e le mie dita cercano di stare dietro a tutti.
Bello. Tutto giusto! Per di più nel ’56 la gente aveva le pale dentro casa e se la cavava da sola perchè era la vita. Nella nevicata del ’12 ci pare strano che “il Comune” non pensi a noi e tutto quello che rallenta i nostri ritmi non è catalogato come evento straordinario, ma frutto di inefficienza. [della serie: “sui marciapiedi si scivola (ma và?) ed il Comune non fa niente”, “hanno pulito solo le strade principali”, “qui da noi non si è visto nessuno. E se ci dovesse servire qualcosa?”].