con questo racconto ho partecipato alla quinta edizione di “match d’autore – una storia di natale“, organizzata per emergency dal festival letterario “montesilvano scrive”. l’ho letto al pubblico del matta il pomeriggio del 21 dicembre 2014.
scusate le maiuscole.
(foto mara patricelli)
L’amante è in attesa, dietro la tenda di lino nella casa provvisoria. Aspetta lei, che è già in ritardo di qualche minuto e che ha promesso che arriverà. Allargherà il giro prima di raggiungere i suoceri e suo marito alla cena della Vigilia. L’amante non può aspettare in balcone, nessun occhio deve associarli in uno sguardo unito. In quella stanza detta dello Scirocco, l’amante attende con una vibrazione silente l’unica donna capace di fermargli il tempo.
Ha appena smesso di piovere; da qualche parte, fuori, l’aria sa di erba bagnata. Lui sa già che lei arriverà senza alzare il mento alla finestra, placcata da un mondo che la vuole nascosta, entrando con finta disinvoltura in quella casa provvisoria, nuda di luci natalizie, celata al quotidiano. Forse porterà un regalo nella borsa.
Questi pochi minuti di ritardo gli sembrano piombo, muti, in fermo immagine, e forse nella realtà non esistono, perché non possono essere raccontati a nessuno.
In quelle ore che passano tra la Vigilia e il Natale, il pescatore ha deciso di prendere il largo, così domani potrà alzare i prezzi. Ora cerca di mantenere il controllo della barca, mentre la pioggia e il mare agitato rendono scivolosi i gesti e senza gravità. Lo disarciona un’onda più dura: per un momento gli sembra di volare, poi sbatte contro il pavimento d’acqua senza ricordarsi di urlare. Il pescatore è solo, intorno è pieno dell’odore del sale. La pioggia ha smesso di prenderlo a schiaffi, ma l’acqua dicembrina è gelata e presto le braccia non gli rispondono più.
Il mare lo tiene al guinzaglio come un dio crudele e assetato, nero di claustrofobia.
Il pescatore è confuso e non sa cosa fare. Galleggia sulla schiena in una pece senza suono, e senza Natale. Ogni tanto uno sciacquio. Il silenzio di salsedine ha una dimensione sola, visto da qui. Il pescatore pianta gli occhi in faccia al buio, per un’ultima volta. È così, dunque – comprende – è così che devo morire.
Se ha capito bene, questo ragazzo che fondamentalmente gli è straniero gli sta chiedendo di poter prendere in consegna sua figlia e di essere il responsabile principale della sua gioia e del suo dolore.
La formula è appena evaporata nell’aria, come lo zucchero a velo sul pandoro appena tagliato, e tutti, sua figlia compresa, lo stanno guardando col fiato sospeso, quasi temessero un no. C’è una frazione di secondo in cui il silenzio diventa una specie di nebbia. Ma dai amore, davvero vuoi sposarti questo qui?, in effetti vorrebbe dirle. Questo soldo di cacio può essere al limite bravo a reggerti la fronte mentre rimetti Mohito nella tazza del bagno. Davvero hai scelto lui? A questo, ti ho preparato?
Io ti prenderei ancora per mano quando insieme attraversiamo la strada.
Ma alla fine di quella frazione di secondo, in fondo al suo silenzio imparagonabile, il padre trova il coraggio di guardarla negli occhi. Le riconosce la speranza che quella volta lo ha fatto innamorare di sua madre. E si arrende, e risponde semplicemente Ok.
La condannata è seduta davanti la scrivania del dottore. Guarda il portapenne a forma di Babbo Natale, la renna le fa l’occhiolino. Alcuni anni fa le hanno dato pochi mesi di vita: la pena da scontare per essere capitata, senza prudenza, nel giro della Malattia. La condannata ha ottenuto, nel tempo, faticose indulgenze, grazie alla sua volontà di vivere. Ha ripreso anche l’università. Le diagnosi sono state varie, differenti, la febbre unica compagna fedele, con brevissimi periodi di distrazione. Ci sono stati dei momenti in cui le è sembrato morire; altri in cui lo avrebbe preferito.
Gli ultimi, ennesimi risultati, sono appena arrivati; il dottore le ha chiesto di vedersi subito, anche se è la notte prima di Natale, anche se nelle case, fuori, i bambini invocano già i regali. Un silenzio goffo e impenetrabile pesa nella stanza. È ormai senza scampo? La condannata è giunta alla fine del suo corridoio? È arrivato il momento della sedia elettrica?
Si guardano senza dire niente, lei e il dottore, immobili. Le carte sono sulla scrivania, aperte. Il dottore vi appoggia i gomiti, la condannata non parla, come se la lunghezza della sua vita dipendesse dalla durata di questo silenzio. Il dottore sfoglia un’ultima volta le carte, le vecchie, poi le nuove, poi ancora le vecchie. Prende fiato. La guarda negli occhi. Alla fine dice: Signorina, lei è guarita.