forse qualcosa sta cambiando, e forse ne siamo gli inconsapevoli testimoni. forse la mia generazione sta realmente recuperando il tanto agognato senso di appartenenza, quello di cui, francamente, cominciavamo un po’ tutti a sentire la mancanza. ci ho riflettuto tutta la serata di ieri, mentre assistevo all’incontro pseudoconclusivo di “sparta”.
cos’è stata, quest’estate, “sparta”, a pescara? una mostra di arte emergente e contemporanea, una manifestazione, una serie di incontri. l’hanno organizzata lucia zappacosta e mauro bianchini della galleria white project ed è stata inserito all’interno del festival dannunziano, nel monumentale cartellone di pescara tener-a-mente. dopo essersi avviata in sordina per gli animi distratti come il mio e per gli abitanti di una città rutilante e disordinata, “sparta”, mi hanno raccontato, ha ingranato in poco tempo, forse con la complicità delle ferie di agosto, e ha visto sempre più pubblico ai suoi incontri. io mi sono accorta tardi che più che semplici incontri erano vere e proprie tavole rotonde, occasioni di dibattito e di riflessione, con relatori di tutto rispetto, e solo ieri ho deciso alla fine di andare a vedere, lasciandomi convincere senza neanche troppa fatica da pochi piccoli segni (sapete, la serendipità) sparsi lungo il fine settimana.
ero concentrata ad ascoltare come l’economia abbia cominciato a definire l’arte e la cultura fattori di cui tener conto, quando mi sono osservata intorno. il clou della serata aveva visto più di 80 persone, sedute e in piedi, concentrate e curiose, e a mezzanotte eravamo rimasti almeno la metà, a sbirciare l’evolversi del dibattito. ho guardato il plotone di esecuzione degli 8 relatori, che al primo impatto intimoriva un po’, e che poi nello snocciolarsi degli interventi si è rivelato invece essere non complesso bensì completo; ho guardato lucia tenere le fila della conversazione; ho guardato un ambiente sconosciuto e bellissimo, il circolo aternino, che pescara rimpiange spesso, e di cui tra poco racconterò; e mi sono venute in mente quelle aggregazioni artistiche, più o meno inconsapevoli, che hanno fatto breccia nel tempo e nella storia. quei movimenti come il gruppo del novecento di margherita sarfatti, o come il gruppo 47 in germania.
lucia ha la mia età, è tenace e carismatica. è stata eletta nel consiglio di circoscrizione del suo quartiere, nel 2008 ha rilanciato la galleria white project insieme al suo fondatore mauro, e soprattutto crede che le cose possano cambiare. io, animo distratto e dalla memoria corta quanto quella di un insetto, ho scoperto ieri che sono passati almeno tre anni da quando il circolo aternino è stato restaurato; e che dopo tante parole da parte di politici, commedianti, sognatori e piantagrane, ci è voluto questo gruppo di giovani (e di questa donna in particolare) per farlo finalmente aprire al pubblico. una consegna un po’ frettolosa, distratta (forse è la distrazione di questa città ad avermi contagiata), ma quanto mai azzeccata. perchè quello che è nato come circolo culturale adesso è qui, nelle mani di trentenni che non soltanto credono che la bellezza ci salverà tutti, ma fanno anche in modo che questo accada. e io, oggi, sono un po’ più rincuorata.
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